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ALL' INSIGNE

E BENEMERITO DELLA REPUBBLICA LETTERARIA

GUGLIELMO ROSCOE,

BIOGRAFO INGLESE

DEL MAGNIFICO LORENZO DE' MEDICI,

&c. &c. &c.

PRESENTANDOGLI

LA STORIA DELLA POESIA ITALIANA

DEL TIRA BOSCHI.

CANZONE.

OR che de' vati al luminoso coro

M'inchino, e, all' ombre lor gradite in seno,

Volgo il ciglio sereno,

(Sentendo con sì grave altero affetto

Scuoter da Febo il verdeggiante alloro,)
A te, signor di stil sì vago e dolce
Che l' alma alletta e molce,

Tra facondi scrittor ministro eletto

A ravvivar di Clio l' estinta lampa,

A te gli strali altisonanti all' etra

Dalla Tosca faretra

Spingo, con quell' ardor ch' entro m' avvampa,

De' volgari cantor fuor dalla plebe
Ora Sorga mirando, or Dirce e Tebe.

Invoco te, che con sì chiara luce
L'ordin spiegasti e le fortune e i fati
De' secoli passati,

E l'opre antiche, e l' aureo lor costume,
Che cara all' alma riverenza induce.

Vedi larghi sgorgar fecondi rivi

Da puri fonti Argivi,

Lieti a mischiarsi col Toscano fiume

Nel corso unito sì, non più straniero;

Mira spiegar le Muse amici vanni
Sovra i dotti Britanni,

Fidate guide in non comun sentiero,
E de' lor sacri ingegni in nobil suolo
Drizzar sublime ed instancabil volo.

Ma qual sorger si vede Ombra sdegnosa Sull' afflitta sua Patria, oppressa e doma Da dura indegna soma

E dall'urto d'idee sfrenate e nove,

Con sua schiera immortal, trista e pensosa! Piange Lorenzo l'abbattuto soglio,

E spento il santo orgoglio

Sulla fucina affumicata, dove

(Non sazio ancor) lo Dio dell' armi insano
D'oro e di ferro a fabbricar già venne
La consolar bipenne,

Rotto lo scettro; onde, al voler profano
Del popol vincitor, Gange ed Egitto
Fremendo udir' lo spaventoso editto.

L'odo da quella sua lira celestek
Note svegliar della dolcezza antica
Con diletta fatica,

E a te volgendo il maestoso volto

Grate corde temprar non più funeste :

"O mio leggiadro (ei grida) almo sostegno,

O del Mediceo regno,

Per te dal nero obblio mai sempre tolto,

Facondo difensor! fremeva indarno

Ne' Fiesolani chiostri il suon dell' armi
Tra rotti bronzi e marmi,

Astro sorgesti inaspettato all' Arno;
E già pel bujo lo chiaror discerno, ale
E delle Tosche glorie il germe eterno.

"Accesi mira in sì raggiante torma Questi miei Genj alle bell' arti intenti Ed a' tuoi vaghi accenti;

Nella spogliata loro antica reggia

Per te la lor virtù non fia che dorma,

(Per poco invan folgoreggiata a terra Con sì barbara guerra,)

Ma risvegliata al ciel sorger si veggia.

L'alma, che il divo suo principio vide,
Ricchezze, dignità, cose mortali,

Beni caduchi e frali,

Non sprezza no, ma lascia al mondo, e ride; Altre palme aspettando in alto siede,

E di cetra immortal luce richiede.

"Braman da te novelli onori e rari
Nel Vaticano lor l'elette Muse
Di lieta speme infuse,

E d'alti ingegni il concistorio antico,
Di grazia e di saper esempj chiari,

E d'artefici illustri il coro ardente;

Vago, dolce e possente

Sorride Rafaello in viso amico;

E la divina e fiera Ombra superba
Segna di novo sua terribil via,
E giù dall' alto invia

Lampi che forse a sè tua patria serba ;
Rischiara dunque alla mia Flora il ciglio,
E del Padre l'onor rendi al gran Figlio.

"Da' gioghi Ascrei l'aura soave spira Risvegliatrice di sovrani ingegni D'antica gloria degni:

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