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N°. XLVII.

me non pare poco, & però sarebbe meglio dissimulare & secretamente attendere a prepararsi, che mostrare malo animo prima che altri potessi offendere, che non è altro che dare occasione ad altri di prepararsi & offendere prima, sì che per ogni ragione in questo primo partito a me non pare sia bene citare il Re. Quanto alla seconda parte dello accordarsi, potrei ancora ingannarmi, perchè forse si propongono tali conditioni, che non sono note a me, le quali si ajutano meglio con questo modo della citatione, che forse servirebbe quando le pratiche fussino mature & quasi resolute, nel quale caso il darsi in qualche modo reputatione suole ajutare meglio il risolvere : ma se non ci è altro che quello che io so, le pratiche pajono acerbe & non punto di facile resolutione, & però questi modi, che si tenessino per ajutare tali pratiche, potrebbono forse generare qualche scandolo o ruptura, che è il contrario dello accordo. Quanto al temporeggiare, credo che questa parte non bisogna disputare, perchè senza comparatione è meglio posare le cose al presente con reputatione di N. S. che tentare la fortuna, massime perchè voi conoscete molto meglio di me, che il Re ha gran facultà di offendere. Hora come dico di sopra per non sapere più innanzi in queste cose non ve ne posso dire altro. Se il poco temere del Papa nasce da qualche buon fondamento, fate, che lo sappi ancora io per levarmi questa molestia, & benchè io non sia di natura vile, per la fede, che mostra il Papa in me, ho molto maggiore sospetto delle cose sue, che non harei delle proprie. Quando la S. S. ne sarà sicura, io attribuisco tanto alla prudentia & autorità sua, che ne resterò ancora io quieto. Insino che non intendo altro fondamento di questa sua sicurtà, vi confesso, che non sto con l'animo riposato. Se ci è cosa alcuna, per l'amore di Dio fatemela intendere, che per l' ordinario non mi sento bene. Non creda il Papa per cosa del mondo, che ad alcuno particulare proposito fuori del bisogno di S. S. io pensi, dica, o adoperi cosa alcuna, perchè il bene, che ho havuto da N. S. & quello che io ne aspetto, procede tutto dal suo buono stato reputatione. Del Sig. Lodovico ho detto quanto intendo, & aperto il cuore mio della natura sua. Io so che vo rettamente, & ho il mio primo fondamento in N. S. nè dirò altro che quello mi habbi detto molte volte, cioè che quando la S. Sua si possa accordare col Re con qualche parte dello honore suo, mi pare meglio uno comunale accordo, che una buona guerra: quando questo havessi difficultà, m' ingegnerei temporeggiare con honore & sicurtà, presupposto che non ci sieno quelle conditioni, che bisognerebbero ad valersi contro il Re, le quali dico di sopra, perchè quando ci fussino, sono certo il Re nello accordo si lasceria maneggiare, & consentirebbe all' honesto, & perchè io credo, che il Re intenda molto ben

bene il male, che gli può essere fatto; dubito per questo non venga in più gagliardia. Tutte queste mie ragioni potrebbero essere resolute invento; tale secreto potrebbe havere N. S. che non è noto a me. Non credo, che sia molesto alla S. Sua questo mio discorso con questa risolutione, che io ho sempre a sopportare quella medesima fortuna, che la S. S. voglio havere licentia di parlare sempre liberamente, & fare quello che vuole S. S. Ringratiate con ogni vostra efficacia la S. di N. S. della amorevole & benigna risposta vi ha fatta circa la protetione dell' Ordine de' Servi in Mes. Giovanni. Tutte queste cose mi obbligano immortalmente alla S. Sua. Piacemi assai, che siate stato a Cervetri & a S. Severa, & soprattutto mi piace vi habbino satisfatto i modi & i governi del Sig. Francesco con cotesti suoi sudditi, perchè Dio mi è testimone, che non amo meno lo honore & bene suo che il mio. Pregovi & conforto quanto posso adoperare con N. S. per dare perfetione alle cose di S. Severa, poichè voi medesimo giudicate là importantia & necessità di aggiungere questo stato a Cervetri. Così vorrei mi rispondessi qualche cosa di Gallese, perchè possa rispondere a quello amico, che doverà presto tornare a me. Bisogna che N. S. acconci una volta il Sig. Francesco in modo, che ogni dì non habbi havere molestia per le cose sue, acciochè lui & noi possiamo vivere lieti & di buona voglia, perchè, dicendo il vero, il Sig. Francesco non ha ancora stato conveniente a uno nipote di uno pontefice, e pure ci appressiamo al settimo anno del Pontificato. Debbesi havere più rispetto cominciando a venire in famiglia et con più giustificatione per questo lo può ajutare N. S. Florentiae die 17. Octobris 1489.

pure

N°. XLVII.

No. XLVIII.

Laurentio de' Medici.

Ferdinandus Rex Siciliae.

N°.

MAGNIFICE vir compater & amice noster carissime. Non era necessario, che da voi fossemo rengratiati di quello per lettera de nostra mano ve ho offerto in beneficio di Mes. Joanni vostro figlio, perchè sape Dio lo animo XLVIII. & la voluntà nostra, quanto desideressimo fare tutte le cose del mondo per usarve gratitudine per quello havete continuamente operato in benefitio nostro, & de questo Stato, del quale sempre potete fare quella stima, che fereste delle

cose

N°. cose vostre medesime, perchè li oblighi, che ne havimo, così recercano, & XLVIII. mai ve poriamo offerire tanto in beneficio vostro & della casa vostra, che ne para havere satisfacta una millesima parte de quello, è lo animo & desiderio nostro de fare, secundo speramo per experientie, omni dì porite conoscere più manifestamente. Datum in Castello Novo. Neap. 23. Agosto 1488.

N°. XLIX.

No. XLIX.

Pietro da Bibbiena a Clarice de' Medici a Roma.

DOMINA mea.

Scrivendovi io in nome di Lorenzo, non me accade dire altro alla M. V. se non che da sabato in quà ho scripto più lettere a quella, & per questa le mando lo inventario del presente del Soldano dato a Lorenzo, el quale mandai però a Piero, ma verrà più adagio. Vale.

Un bel cavallo bajo; animali strani, montoni e pecore di varj colori con orecchi lunghi sino alle spalle, & code in terra grosse quasi quanto el corpo; una grande ampolla di balsamo; 11. corni di zibetto; bongivi, & legno aloe quanto può portare una persona; vasi grandi di porcellana mai più veduti simili, nè meglio lavorati; drappi di più colori per pezza; tele bambagine assai, che loro chiamano turbanti finissimi; tele assai colla salda, che lor chiamano sexe; vasi grandi di confectione, mirabolani & giengituo.

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Est via longa quidem fateor, sed splendor, & ampli
Maxima Laurenti gloria vincit iter.

Hunc igitur forti superabis mente laborem ;

Præmia sunt viso sat tibi magna viro.
Nec vereare sacris aditum non esse Camoenis,
Illa domus Musis nocte, dieque patet.
Non nisi culta tamen te cœtu intersere tanto,
Odit barbaricos docta caterva sonos.
Ecquis enim Phœbo, Phœbique sororibus illo est
Gratior? Aonio quis magis amne bibit ?

Sed sis culta licet moneo tua tempora serves
Omnia non omni tempore visa placent.
Excipiere illa (serves si tempora) fronte,
Quam præstare solet civibus ille suis.
Mox cum te placido trepidantem perleget ore,
Illi hæc de multis pauca sed apta refer.
Ausonios inter proceres, celeberrime princeps,
Inter & Etruscos gloria summa viros;
Accipe Laurenti quæ dat tibi munera Lippus,
Lippus Partenope civis ab urbe tuus.

Sunt ea parva quidem, sed sint tibi grata precamur,
Namque ea sunt animi pignora magna sui.
Mens pia coelestes non grandis victima placat,
Hostia parva Deum sit modo sancta juvat.
Gratus erat Baccho quamvis pauperrimus esset
Icarus ; & dignus numinis hospes erat.
Alcides domitis invicto robore monstris

Accubuit mensis sæpe, Molorche, tuis.

Ipse quoque immensum fertur quum viseret orbem
Juppiter in parva discubuisse casa.

Cumque torum pomis oneraret agrestibus hospes,
Vilia non puduit sumere poma Jovem.

Tu quoque parva licet placido mea carmina vultu
Accipe Moonius det tibi magna pater.

Et daret, & cuperet Pitii pronomine Achillis,
Proque Itaco nomen ponere posse tuum.

Ast ego quod possum fero, tu ne parva ferentem
Despicias; animo dona repende meo.

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N°. L.

Non sunt parva tamen; magnam

celebrantia nomen,

Quæ tu vel solo nomine magna facis
Sed quis nam merito divinas carmine laudes
Concipere, & tanto par queat esse viro?
Moonides iterum liceat Ciceroque resurgant,
Moonides dicet cum Cicerone parum.
Ipse potes solus digno tua condere gesta
Carmine, te præter dicere nemo valet,
Vincitur ingenium tanto jam nomine nostrum,
Tergaque succumbunt pondere victa gravi.
Sed tamen incipiam, deerunt si carmina tantis
Laudibus, ignosces, sit voluisse satis ;
Rursus in ambiguis versatur cura tenebris.

Rursus in incertum mens vaga fertur iter.

Quæ quibus ante feram, quæ prima aut ultima dicam,
Quis mihi sit finis principiive locus,

Bella ne dent aditum ? quis bello est major, & armis ?
Quis magis in dubio Marte timendus adest?

Quid tu te acide fulgentibus induis armis ?
Exue, non faciunt ista, Patrocle, tibi.
Indue Laurenti nec eris simulatus Achilles,
Indue non Hector te duce fortis erit.
Nec nisi te armari pro se voluisset Achilles

Dixisset comiti: cede Meneacide.

Tu quoque quid spolium verbis tibi sumis Ulixe?
Huic dedit Æacides, non tibi: redde suum est.

Non tibi, sed nobis cessit Telamonius Ajax
Tu quoque (sed facies jam puto) cede libens.
Hunc decet Æacide spoliis gaudere superbis,

Hunc decet Hectoreas vincere sæpe manus.
Aspice quantus eat rutilis bellator in armis,

Quantus agat celerem quamque tremendus equum.
Quo tenet in gentes habitu, quo dirigit hastas,
Qua ferit ipse alios, qua cavet arte sibi.
Defendit clypeo, ferit ense, excellit utroque
Tutus abit clypeo, victor at ense redit.
Nemo levi melior jaculo volucrique sagitta,

Nemo pedes melior, nemoque præstat eques.

Seu

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