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dre, non per altra causa, se non perchè vivendo ella, faceva testimonianza della sua ignobiltà, perchè, ancorchè fusse stato molti anni in grandezza, egli l'aveva lasciata nella sua povertà, e ne' suoi esercizi a lavorar la Terra LXXXIV. sin tanto, che quei cittadini, che avevan fuggita dalla nostra città la crudeltà, e l'avarizia del Tiranno insieme con quelli, che da lui n' erano stati cacciati, volsono menare all' imperatore a Napoli questa sua Madre per mostrare a sua maestà, d'ond' era nato colui, il quale ei comportava, che comandasse, Firenze. All' ora Alessandro non scordatosi per la vergogna della pietà, ed amor della Madre (quale lui non ebbe mai) ma per una sua innata crudeltà, e ferità, commesse, che sua madre fusse morta avanti, ch' ella andasse alla presenza di Cesare, il che quanto li fusse difficile, si può considerare, immaginandosi una vecchia, che stava a filar la lana, e da pascer le pecore: e s'ella non sperava più ben nessuno dal suo figliuolo, almeno la non temeva cosa sì inumana, e sì orrenda, e se ei non fusse stato, oltre il più crudele, il più insensato uomo del Mondo, ei poteva pure condurla in qualche luogo segretamente, dove se non l'avesse voluta tener da madre, la poteva tener almanco viva, e non voler all' ignobiltà sua aggiugnere tanto vituperio, e così nefanda sceleratezza. E per tornar a proposito io concludo, che, perche lui non amò sua madre, nè il cardinale de' Medici, nè alcuno altro di quelli, che gli erano più congiunti, che egli non amò mai alcuno, perchè, come io ho detto, non ci possiamo noi fidare di quelli, che noi non amiamo; sì che io non fui mai suo servitore, nè parente, nè lui mai si fidò di me. Ma mi par bene, che per esser male informati, o per qualche altro rispetto, dicono, che io ho errato ad amazzare Alessandro, allegandone le sopradette ragioni; mostrino esser molto meno informati delle leggi ordinate contro a Tiranni, e delle azzioni lodate dagli uomini, che hanno morto infino i proprii fratelli per la libertà della patria: perchè se le leggi non solo permettono, ma astringono il figliuolo ad accusare il padre in caso, ch' ei cerchi di occupare la Tirannide della sua patria, non ero io tanto più obligato a cercar di liberar la patria già serva con la morte di uno, che quando fusse stato di casa mia (che non era) a loro modo sarebbe stato bastardo, e lontano 5, o 6 gradi da me; e se Timoleone si trovò ad ammazzare il proprio fratello per liberar la patria, e ne fu tanto lodato, e celebrato, che ne è ancora, perche averanno questi malevoli autorità di biasimarmi? Ma quanto all' ammazzare un che si fidi (il che io non dico di aver fatto) dico bene, che se io l' avessi fatto, io non avrei errato, e se io non l' avessi potuto fare altrimenti, l'avrei fatto. Io domando a questi tali, se la loro patria fusse oppressa da un Tiranno, se lo chiamerebbono a combattere, o se gli farebbono prima intendere,

VOL. II.

N°.

LXXXIV.

tendere, che lo volessino amazzare, o se eglino andrebbono deliberati për ammazzarlo, sapendo di aver ancor loro a morire, o vero, se cercherebbono di ammazzarlo per tutte le vie, e con tutti gli inganni, e con tutte le strategemme, purch' egli restasse morto, e loro vivi. Quanto a me, io penso, che non pigliarebbono briga di ammazzarlo nell' un modo, e nell' altro, nè si può credere altrimenti; poichè biasimano, che io ho preso quel modo, ch' era più da pigliare: se questo consenso, e questa legge, che è fra gli uomini santissima, di non ingannare chi si fida, fusse levata via, io credo certo che sarebbe peggio essere uomo, che bestia, perchè gli uomini mancherebbono principalmente della fede, dell amicizia, del consorzio, e della maggior parte delle qualità, che ci fanno superiori agli animi bruti, essendo che nel resto una parte di loro è di più forze di noi, e di più vita, e manco sottoposti a casi, e alle necessità umane ; ma non per questo vale la consequenza, che questa fede, che questa amicizia si abbia da osservare ancora con i Tiranni, perchè si come loro pervertono, confondono tutte le leggi, e tutti li buoni costumi, così gli uomini sono obligati contro a tutte le leggi, e tutte l'usaze cercar di levargli di terra, e quanto prima lo fanno, tanto più sono da lodare. Certo sarebbe una buona legge per i Tiranni questa, che vorrebbero introdurre, ma cattiva per il Mondo, che nessuno debba offendere il Tiranno di quelli in cui egli si fida, perchè fidandosi egli di ogni uno, non potrebbe per vigore di questa nostra legge esser offeso da persona, e non avrebbe bisogno di guardie, o fortezze; sì che io concludo, che i Tiranni in qualunque modo si ammazzino, siano ben morti. Io vengo ora a rispondere a quelli, che non dicono già, che io facessi errore ad ammazzare Alessandro, ma che io errai bene nel modo del proceder poi dopo la morte; a' quali mi sara un poco più difficile rispondere, che a gli altri, perchè l'evento pare, che accompagni la loro opinione, dal quale loro si muovono totalmente, senz' aver altra considerazione, ancorchè gli uomini savii siano così alieni dal giudicare le cose da gli eventi, che gli usino lodar le buone, e savie operazioni, ancorchè l' effetto sortisca tristo, e biasimar le triste, ancorchè lo sortiscano buono. Io voglio oltre a questo dimostrare, non solo, che io non potevo far più di quello, che io feci, ma ancora, che se io tentava altro, che ne risultava danno alla causa, e a me biasimo. Dico dunque, che il fine mio era di liberar Firenze, e l' ammazzar Alessandro era il mezzo. Ma perchè io conoscevo, che questa era un' impresa, che io non potevo condur solo, e communicarla non volevo per il pericolo manifesto, che si corre in allargar cose simil, non tanto della vita, quanto del non poter condurle a fine, io mi risolvetti a far da me, finche io potetti fare senza la compagnia,

No.

e quando io non potevo far più da me cosa alcuna, all' ora allargarmi, e domandare ajuto, il quale consiglio mi successe felicemente fino alla morte di Alessandro, che insino all' ora ero stato sufficiente a far quanto bisognava, LXXXIV. ma d'allora in quà cominciai ad aver bisogno di ajuto, perchè io mi trovavo solo senz' amici, e confidenti, e non avendo altre armi, che quella spada, con cui l'avevo morto. Bisognandomi dunque domandar ajuto, non potevo io più convenientemente sperare in quelli di fuora, che in quelli di Firenze? avendo visto con quanto ardore e quanto animo loro cercavano di riavere la loro libertà, e per il contrario con quanta pazienza, e viltà quelli, ch' erano in Firenze sopportavano la servitù, e sapendo, che gli eran parte di quelli, che nel 1530 si eran trovati a difender così virtuosamente la loro libertà, e che il resto erano Fuorusciti volontari, d' onde si poteva più sperare in loro, che in quelli di dentro, poichè questi vivevano sotto la Tirannide, e quelli volevano più tosto esser liberi, che servi; sapendo ancora, che i Fuorusciti erano armati, e quei di dentro disarmati. In oltre tenendo per certo, che quei di fuora volessono unitamente la libertà, e sapendo, che in Firenze vi erano mescolati molti di quei, che volevano la Tirannide, poichè si vidde poi, (che vale il giudicar dagli eventi) che in tutta quella città in tante occasioni fu chi si portasse, non dico da buon cittadino, ma da uomo, fuorchè due, o tre; e questi tali che mi biasimano, pare che cerchino da me, che io avevo da andar convocando per la città il popolo alla libertà, e mostrar loro il Tiranno morto, e vogliono, che le parole avesson mosso quel popolo, il quale conoscevano non esser stato mosso da fatti. Avevo io dunque a levarmi in spalla quel corpo a uso di Facchino, e andar gridando solo per Firenze, come i pazzi? Dico solo, perchè Piero mio servitore, che nell' ajutarmelo ammazzare si era portato così animosamente, dopo il fatto, e poi ch' egli ebbe a pensar il pericolo, ch' egli avea corso, era tanto avilito, che di lui non potevo disegnare cos' alcuna, e non avevo io a pensare, sendo nel mezzo della guardia del Tiranno, e si può dire nella medesima casa, dov' eran tutti i suoi servitori, e essendo la notte un lume di luna splendissimo, di aver io a essere, o preso, o morto prima, che io avessi fatto tre passi fuora dell' uscio? e se io avessi levatagli la testa, che quella si poteva celare sotto a un mantello, dove avevo io a indirizzarmi essendo solo, e non conoscendo in Firenze alcuno, in chi io confidassi? chi mi avrebbe creduto? perche una testa tagliata si transfigura tanto, che aggiunto il sospetto ordinario, che hanno gli uomini di esser tentati, o ingannati, e massime da me, ch' ero tenuto di mente contraria à quella, che io avevo fatto, io poteva pensare di trovar prima uno, che mi ammazzasse, che uno, che mi credesse, e la morte

mia

N°.

mia in quel caso importava assai, perchè averebbe data riputazione alla parte contraria, e a quelli, che volevano la Tirannide, potendo parere, cho in quel LXXXIV. moto fusse in parte la morte di Alessandro vendicata, e così procedendo per quel verso, io potevo più nuocere alla causa, che giovare; però io fui di tanto contraria opinione di costoro, che non che io publicassi la morte di Alessandro, io cercai di occultarla e più che io poteva in quell'istante, e portai meco la chiave di quella stanza, dov' egli era rimasto morto, come quello, che averei voluto, se fusse stato possibile, che in un medesimo tempo si fusse scoperto, che il Tiranno era morto, e che i Fuorusciti erano mossi per venire a ricuperar la libertà, e da me non restò, che così non fusse. Certi altri dicono, che io dovevo chiamar la guardia del Tiranno, e mostrarglielo morto, e domandar loro, che mi conservassono in quello stato, come successore, e in somma darmi loro in preda, e di poi, quando le cose fussono state in mio potere, che io avessi restituita la Republica, come si conveniva. Questi che la discorrono per questo verso, almanco conoscono, che nel popolo non era da confidare in conto alcuno, ma non conoscono già, che se quei soldati in quei primi moti, e per il dolore di veder morto il loro signore avessono morto me (come è versimile) che io avrei perso insieme la vita, e l'onore, perchè ogn' uno avrebbe creduto, che io avessi voluto far Tiranno me, e non liberar la patria; dal qual concetto, sì come io sono stato sempre alienissimo nel mio pensiero, così mi sono ingegnato di tener lontani gli animi degli altri; sì che nell' un modo io avrei nociuto alla causa, e nell' altro all' onor mio: ma io confessarei facilmente di avere errato, non avendo preso uno di questi, o simili partiti, se io non avessi avuto da pensare, che i Fuorusciti dovessero finir meco l'opera, che io avevo cominciata. perchè avendoli io visti venire così francamente à Napoli con tanta riputazione, e con tanto animo, e così unitamente a ridomandaré la loro libertà in presenza del Tiranno, ch'era non solo vivo, ma Género dell' Imperadore, non avevo io a tener per certo, che da poi, ch' egli era morto, che l' Imperadore era in Spagna, e non a Napoli, ch' eglino avessono a raddoppiare, e la potenza, e l'animo che io avevo visto in loro, e che dovessono ripigliare la loro libertà, dove non avessono più constrasto ? Certo che mi parrebbe di essere stato maligno, se io non avessi sperato questo da loro, e temerario, se io non avessi preso questo partito. Io confesso, che non mi venne mai in considerazione, che Cosimo de' Medici dovesse succedere ad Alessandro, ma quando io l' avessi pensato, o creduto, io non mi sarei governato altrimenti dopo la morte del Tiranno, che come io feci, perche io non mi sarei mai

imaginato,

immaginato, che gli uomini (che noi reputiamo Savii) dovessero preporre alla vera presente gloria, la futura incerta, e trista ambizione.

"

Egli è altrettanta difficoltà dal discorrer le cose al farle, quanta ne è dal discorrerle inanzi al dopò : Però quelli che discorrono ora così facilmente quello, che io dovevo fare all' ora, se si fussono trovati in sul fatto, avrebbono un poco meglio considerato quanto era possibile sollevare un popolo, che si trovava in corpo una Guardia, e in capo una Fortezza, che gli era di maggiore spavento, quanto la cosa era più nuova, ed insolita a Firenze, tanto più era a me difficile, che oltre al portare il nome de' Medici, ero in concetto di amatore della Tirannide; e così quelli, che discorrono le cose dopo il fatto, veggono che le sono mal successe: se mi avessino avuto a consigliare all' ora, quando eglino avrebbono visto da una banda tanta difficultà, e dall' altra i Fuorusciti con tanto riputazione, e tanto numero, così ricchi, così uniti per la libertà, come tutto il Mondo credeva, e che non avessono ostacolo alcuno al tornare in Firenze, poichè il Tiranno era levato via, io credo, che sarebbono stati di contraria opinione a quella che ora sono, e in somma la cosa si riduce quì, che dove volevano, che io solo disarmato andassi svegliando, e convocando il popolo alla libertà, e che io mi opponessi a quelli, ch' erano di contraria opinione (il ch'era impossibile) io lo volevo fare in compagnia de' Fuorusciti, e col favore degli uomini del-dominio, quali io sapevo, ch' erano la maggior parte per noi. E, se noi fussimo andati alla volta di Firenze con quella celerità, e risoluzione, che si ricercava, noi non trovavamo fattoci contro provedimento alcuno; nè l'elezione di Cosimo (che era si mal fondata, e così fresca) ci poteva nuocere, o impedire. Se dunque io avessi trovati i Fuorusciti di quell' animo, e di quella prontezza (ch' era però la maggior parte di loro, ma quelli che potevano manco, non avendo altre qualità, che di esser Fuorusciti) nessuno negherà, che la cosa non fusse successa appunto, come io mi ero immaginato, il che si può provare, e con molte ragioni, che per non esser troppo lungo, si tralasciano; e per il caso di Monte Murlo, perchè dopo molti mesi, che dovevano, e da poichè eglino avevano lasciato acquistare agli avversarii tanta riputazione, quanto loro ne avevano perduta, succedess' egli di liberar Firenze, se la malignità, e l' innetta ambizione di pochi non avesse dato agli avversarii quella vittoria, che loro stessi non speravano mai, e che quan→ do si viddero vincitori, non potevano ancor credere di aver vinto: tanto che i Fuorusciti perderono un impresa, che da ogn' uno era giudicato che non si potesse perdere. Però chi non vorrà di nuovo giudicare dagli eventi, conoscerà, che all' ora eglino avrebbon rimesso Firenze in libertà, se si fussono

saputi

N°. LXXXIV.

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