Imágenes de páginas
PDF
EPUB

N°.

N°. LXXXIII.

Robertus Ubaldinus de Galliano, Dominicana Familie Monachus, de obitu

Ang. Politiani.

SEPULTURA Domini Angeli Politiani. Item ne memoria oblivioni detur omnino, ubi jacet corpus clarissimi, ac doctissimi, et eloquentissimi viri LXXXIII. Domini Angeli Politiani, Canonici Cathedralis Ecclesiae Florentinae, hic mihi suprascripto Fratri Roberto visum est justum, et bonum, annotare locum sepulturae suae, quoniam et teneor, quum fuerit ipse mihi olim magister, et ego illi discipulus, et ejus infirmitati frequenter interfui, una cum venerando Patre, Fratre Dominico Pisciensi, familiari suo, ac etiam morti ejus, imo et qui post mortem ipsius, propriis manibus, ex commissione Reverendi Patris, Fratris Hieronymi Savonarolae, Ferrariensis, Generalis Vicarii tunc Congregationis nostrae S. Marci, dedi eidem habitum Ordinis nostri, et indui corpus ejusdem habitu illo, quem antea in vita optaverat et petierat, et sepulturam apud nos requisierat. Unde et Domini Canonici Ecclesiae superscriptae ad funus ejus venerunt una cum omnibus Fratribus nostri Conventus. Huc detulere corpus ipsius de voluntate etiam suae sororis, et quorumdam nepotum ipsius, qui tunc aderant ea de causa Florentinae urbi, et pro tunc sub deposito quodam in capsa una in Coemeterio secularium, quod juxta Ecclesiam nostri Conventus est, et sub ea portione, quae in Coemeterio ipso est, et in capite portionis ipsius juxta Altare, quod ibidem est, fuit conditum ipsum corpus habitu nostri Ordinis vestitum. Sed post quum nullus attenentium suorum adimplesset, quod dixerant, faciendo sibi ornatum sepulchrum ad memoriale perenne, fuit sepultum in dicta capsa in sepulchro, quod ibidem est commune, ubi Fratres sepeliunt eos, qui apud nos sepeliri petunt, et locum sepulturae apud nos minime habent. Obiit autem praefatus Orator summus, atque Poeta insignis de mense Septembris, credo quod in principio illius mensis, non tamen memoria mea hoc tenet adamussim, sed de anno Domini 1494. eo anno, quo Comes Mirandulanus, cujus etiam familiari consuetudine utebatur, et ante ipsius obitum per duos menses, et obiit in domo horti, qui dicebatur Giardinus Dominae Claricis olim uxoris magnifici Laurentii de Medicis. Fuerat enim praeceptor Petri filii majoris natu ipsius Magnifici Laurentii. Et haec ad memoriam rei sint, &c. 107

N°.

N°. LXXXIV.

Discorso, d Apologia di Lorenzo de' Medici,

Sopra la nascita, et morte d'Alessandro de' Medici primo Duca di Firenze.

SE io avessi à giustificare le mie azzioni appresso di coloro, i quali non sanno, che cosa sia Libertà, ò Tirannide, io m' ingegnerei di dimostrare, e provocare con ragioni, come gli uomini non devon desiderare cosa più del viver politico, e in libertà, trovandosi la politicà più rara, e manco durabile in ogni altra sorte di Governo, che nella Republiche, e dimostrarei ancora, com' essendo la Tirannide totalmente contraria al viver politico, ch' ei devono parimente odiarla sopra tutte le cose: E com' egli è prevaluto altre volte tanto più questa opinione, che quelli, che hanno liberata la loro Patria dalla Tirannide, sono stati reputati degni de' secondi onori dopo gli Edificatori di quella. Mà avendo à parlare à chi sà, e per ragione, e per pratica, che la Libertà è bene, e la Tirannide è male, presupponendo universale, parlerò particolarmente della mia azione, non per domandarne premio, mà per dimostrare che non solamente io hò fatto quello, à che è obligato ogni buon cittadino, ma che io averei mancato & alla Patria, & à me medesimo, se io non l'avessi fatto.

E per cominciarmi dalle cose più note, io dico che non è alcuno, che dubiti, che il Duca Alessandro, (che si chiamava de' Medici) non fusse Tiranno della nostra Patria, se già non son quelli, che per favorirlo, e tener la parte sua ne divenivan ricchi, i quali non potevan però essere, nè tanto ignoranti, nè tanto accecati dall' utilità, che non conoscessero, ch' egli era Tiranno. Mà perchè ne tornava bene à loro in particolare, curandosi poco del Publico, seguitavano quella fortuna; i quali in vero erano uomini di po.. ca qualità, & in poco numero, tal che non possono in alcun modo contrapesare il resto del Mondo, che lo reputava Tiranno. Nè alla verità, perch' essendo la Città di Firenze per antica possessione del suo popolo libera, ne seguita, che quelli, che la comandano, che non sono del popolo, per comandarla sono Tiranni, come hà fatto la Casa de' Medici, la quale hà ottenuta la superiorità della nostra Città per molti anni con consenso, e participazione della minor parte del popolo : nè con tutto questo ebbe ella mai autorità, se non limitata, insino à tanto che dopo molte alterazioni venne Papa Clemente VII. con quella violenza, che sà tutto il Mondo, per privare della libertà la sua Patria, e farne questo Alessandro Padrone; il quale giunto,

N°. LXXXIV.

che

che fu in Firenze, perchè non si avesse à dubitare, s' egli era Tiranno, levata N°. via ogni civiltà, & ogni reliquia, e nome di Republica, e come fusse necesLXXXIV. sario per esser Tiranno non esser men' empio di Nerone, nè meno odiatore degli uomini, ò lussurioso di Caligola, nè meno crudele di Falari, cercò di superare le sceleratezze di tutti, perche oltre alle crudeltà usate ne' cittadini, che non furono punto inferiori alle loro, superò (nel far morire la Madre) l'empietà di Nerone, perchè Nerone lo fece per timore dello stato, e della vita sua, e per prevenire quello, che dubitava non fusse fatto à lui. Ma Alessandro commesse tale sceleratezza solo per mera crudeltà, e inumanità, come io dirò appresso; nè fù punto inferiore à Caligola col vilipendere, beffare, e straziare i cittadini con gli adulterii, con le violenze, con le parole villane, e con le minacce, che sono à gli uomini, che stiman l'onore, più dure à sopportare, che la morte, con la quale al fine gli perseguitava. Superò la crudeltà di Falari di gran lunga, perchè dove Falari punì con giusta pena Perillo della crudele invenzione per tormentare, e far morire gli uomini miseramente nel Toro di Bronzo, si può pensare, che Alessandro l'averebbe premiato, se fosse stato al suo tempo, poichè lui medesimo cogitava, e trovava nuove sorti di tormenti, e morti, come, murare gli uomini vivi in luoghi così angusti, che non si potessero, nè voltare, nè muovere, ma si potevan dire murati insieme con le pietre, e co' mattoni, e in tale stato gli faceva morire, e allungare l' infelicità loro più ch' era possibile, non si saziando quel mostro con la morte semplice de suoi cittadini, tal che i sei anni, ch' egli visse nel principato, e per libidine, e per avarizia, e per uccisioni, si posson comparare con sei altri di Nerone, di Caligola, e di Falari, sciegliendoli per tutta la vita loro i più scelerati, à proporzione però della città, e dell' imperio, perchè si troverà in sì poco tempo essere stati cacciati dalla patria loro tanti cittadini, e perseguitati, poi moltissimi in isilio, tanti essere stati decapitati senza processo, e senza cause, e totalmente per vani sospetti, e per parole di nessuna importanza, altri essere stati avelenati, e morti di sua mano propria, ò de' suoi satelliti, solamente per non avere à vergognarsi da certi, che l' avevano veduto nella fortuna, in ch' egli era nato, e allevato, e si troveranno in oltre essere state fatte tante estorsioni, e prede, essere stati commessi tanti adulterii, e usate tante violenze, non solo nelle cose profane, ma nelle sacre ancora, ch' egli apparirà difficile à giudicare chi sia stato più, ò scelerato, e impio il Tiranno, ò paziente, e vile il popolo Fiorentino, avendo sopportato tanti anni così grave calamità, essendo all' ora massime più certo il pericolo nello starsi, che nel mettersi con qualche speranza à liberar la patria, e assicurarla per l'avenire. Però quelli, che pen

sano,

N°.

sano, che Alessandro non si dovesse chiamar Tiranno, e per essere stato messo in Firenze dall' imperatore, qual' è opinione che abbia autorità d' investire degli stati, che gli pare, s' ingannano, perchè quando l'imperatore LXXXIV, abbia cotesta autorità, egli non l' ha da fare senza giusta causa, e nel particolare di Firenze egli non lo poteva fare in nessun modo essendoci ne' i capitoli, ch' ei fece col popolo Fiorentino alla fine dell' assedio del 1530, expressamente dichiarato, che non potesse mettere quella città sotto la servitù de' Medici; oltre che quando ben l' imperatore avesse avuta autorità di farlo, e non l'avesse fatto con tutte le ragioni, e giustificazioni del Mondo, tal ch' ei fusse stato più legitimo prencipe del Rè di Francia, la sua vita dissoluta, la sua avarizia, la sua crudeltà l'avrebbono fatto Tiranno: il che si può manifestamente conoscere per l' esempio di Ierone, e del Ieronimo Siracusano; de' quali l' uno fù chiamato Rè, e l' altro Tiranno, perch' essendo Ierone di quella santità di vita, che testificano tutti gli scrittori, fu amato, mentre visse, e desiderato dopo la morte sua da' suoi cittadini, ma Ieronimo suo figliuolo, che poteva parere più confermato nello stato, e più legitimo mediante la successione, fu per la sua trista vita così odiato da' medesimi cittadini, ch' egli visse, e morì da Tiranno, e quelli che l' ammazzarono, furono lodati, e celebrati, dove, s' eglino avessino morto il padre, sarebbono stati biasimati, e reputati parricidi; si che i costumi son quelli, che fanno divenire i prencipi tiranni contro à tutte l' investiture, tutte le ragioni, e successioni del Mondo. Mà per non consumar più parole in provar quello, ch'è più chiaro del sole, vengo à risponder à quelli, che dicono, ancorch' egli fusse Tiranno, che io non lo dovevo ammazzare, essendo io suo servitore, e del sangue suo, e fidandosi egli di me, i quali non vorrei, che portassino altra pena dell' invidia, e malignità loro, se non che Dio gli facesse parenti, servitori, e confidenti del Tiranno della loro Patria, se non è cosa troppo empia desiderare tanto male ad una Città per la colpa di pochi, poiche cercano di oscurare la buona intenzione con queste calunnie, che quando le fussino vere, non avrebbono elle forza alcuna di farlo, e tanto più, che io sostengo, che io non fui mai servatore di Alessandro, nè lui era del sangue mio, ò mio parente, e proverò, ch' ei non si fidò mai di me volontariamente. In due modi si può dire, che uno sia servo, ò servitore di un altro, ò pigliando da lui premio per servirlo, ò per essergli fedele, ò essendo suo schiavo, perchè i sudditi ordinariamente non son compresi sotto questo nome di servo, e di servitore; che io non fussi schiavo ad Alessandro è chiarissimo, si come è chiaro ancora (à chi si cura di saperlo) che io, non solo non ricevevo premio, o stipendio alcuno, ma che io pagavo à lui la mia parte delle gravezze,

come

No.

come gli altri cittadini; e s'egli credeva, che io fussi suo suddito, ò vassalo, perch' egli poteva più di me, ei dovette conoscere ch' ei s'ingannavá, LXXXIV. quando noi fummo del pari, si che io non fui mai, nè potevo esser chiamato suo servitore. Ch' egli non fusse della casa de' Medici, e mio parente è manifesto, perch' egli era nato di una donna infima, e di vilissimo stato, da Colle Vecchio, in quel di Roma, che serviva in casa di Lorenzo agli ultimi servizi della casa, ed era maritata à un vetturale, e infin quì è manifestissimo. Dubitasi, se il duca Lorenzo in quel tempo, ch' egli era Fuoriscito, ebbe che fare con questa serva, e s' egli accadde, non accadde più d' una volta; ma chi è così imperito del consenso degli uomini, e della legge, ch' ei non sappia, che quando una donna hà marito, e ch' ei sia dove lei, anchorch' ella sia trista, e ch' ella esponga il corpo suo alla fibidine di ogn' uno, che tutti i figliuoli, ch' ella fa, son sempre giudicati, e sono del marito? perche le leggi vogliono conservar l'onestà, quanto si può. Se dunque questa serva da Collevecchio (della quale non si sà per la sua nobiltà nè nome, nè cognome) era maritata à un vetturale, e questo è manifesto e noto à tutto il mondo, Alessandro, secondo le leggi umane e divine, era figliuolo di quel vetturale, e non del duco Lorenzo, tanto ch' egli non aveva meco altro interesse, se non ch' egli era figliuolo di un vetturale della casa de' Medici. Ch' egli non si fidasse di me, lo provo, perch' egli non volle mai acconsentire, che io portassi armi, ma mi tenne sempre disarmato, come faceva gli altri cittadini, i quali egli aveva tutti à sospetto. Oltre à questo mai si fidò meco solo, ancor che io fussi sempre senz' armi, e lui armato, che del continuo aveva seco trè ò quartro de' suoi satelliti; nè quella notte, che fu l'ultima, si sarebbe fidato, se non fusse stata la sfrenata sua libidine, che l'occecò, e lo fece mutare contro à sua voglia proposito, ma come poteva egli essere, ch' egli si fidasse di me, che non si fidò mai d' uomo del mondo? perchè non amò mai persona, e ordinariamente gli uomini non si posson fidare, se non di quelli, che amano. E ch' egli non amasse mai persona, anzi ch' egli odiasse ogn' uno, si conosce, poich' egli odiò, e perseguitò con veleni, e insino alla morte le cose sue proprie, che gli dovevano esser più care, cioè la Madre, et il cardinale Ipolito de' Medici, ch' era riputato suo Cugino. Io non vorrei, che la grandezza delle sceleratezza vi facesse pensare, che queste cose fussono finte da me per aggravarlo, perchè io son tanto lontano dall' averle finte, che io le dico più semplicemente, che io posso, per non le fare più incredibili di quelle, ch' elle sono per natura. Ma di questo ci sono infiniti testimonii, infiniti examini, la fama freschissima, d'onde si sà per certo, che questo mostro, questo portento, fece avelenare la propria Ma

dre,

« AnteriorContinuar »