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NEL darvi a leggere questi poemetti, che il mio caro amico, e concittadino, il Sig. GUGLIELMO CLARKE, accuratamente trasse dagli originali esistenti nella Libreria Mediceo-Laurenziana, d'altro non occorre avvertirvi, se non, che per darvi un saggio della lingua Toscana, nel secolo del 1400, l'antica ortografía è stata, per quanto fu possibile, conservata.

AMBRA.

FAVOLA.

FUGITA è la stagion, ch' avea conversi
E fiori in pomi già maturi, e colti;
In ramo più non può foglia tenersi,
Ma sparte per li boschi assai men folti
Si fan sentir, se avvien che gli attraversi
Il cacciator, e pochi paion molti:
La fera, se ben l'orme vaghe asconde,
Non va secreta per le secche fronde.

Fra gli arbor secchi stassi 'l lauro lieto,
E di Ciprigna l'odorato arbusto ;
Verdeggia nelle bianche Alpe l' abeto,
E piega i rami già di neve onusto ;
Tiene il cipresso qualche uccel secreto,
E con venti combatte il pin robusto ;
L'umil ginepro con le acute foglie,
Le man non pugne altrui, che ben le coglie,

L' uliva

L' uliva, in qualche dolce piaggia aprica,
Secondo il vento, par or verde, or bianca:
Natura in questa tal serba, e nutrica
Quel verde, che nell' altre fronde manca :
Già i peregrini uccei con gran fatica
Hanno condotto la famiglia stanca
Di là del mare, e pel cammin lor mostri
Nereidi, Tritoni, e gli altri mostri.

Ha combattuto dell' imperio, e vinto
La notte, e prigion mena il breve giorno:
Nel ciel seren d' eterne fiamme cinto
Lieta il carro stellato mena intorno;

Nè prima surge, ch in oceano tinto

Si vede l' altro aurato carro adorno;

Orion freddo col coltel minaccia

Phebo, se mostra a noi la bella faccia.

Seguon questo notturno carrò ardente\\'\
Vigilie, escubie, sollecite cure,

E'l sonno, e benchè sia molto potente,
Queste importune il vincon spesso pure,
Ei dolci sogni, che ingannon la mente,
Quando è oppressa da fortune dure:
Di sanità, d'assai tesor fa festas
Alcun, che infermo, e povero si desta.

O miser quel, che in notte così lunga
Non dorme, e 'l disiato giorno aspetta ;
Se avvien, che molto, e dolce disìo il punga,
Quale il futuro giorno li prometta;

E benchè ambo le ciglia insieme aggiunga,
Ei pensier tristi escluda, e i dolci ammetta ;
Dormendo, o desto, acciochè il tempo inganni,
la notte un secol di cent' anni.

Gli
par

O miser

O miser chi tra l'onde trova fuora

Sì lunga notte, assai lontan dal lito ;
E'l cammin rompe della cieca prora

Il vento, e freme il mar un fer mugito;
Con molti prieghi, e voti l' Aurora
Chiamata, sta col suo vecchio marito:
Numera tristo, e disioso guarda
I passi lenti della notte tarda.

Quanto è diversa, anzi contraria sorte
De' lieti amanti nell' algente bruma,
A cui le notti sono chiare, e corte,
Il giorno oscuro, e tardo si consuma.
Nella stagion così gelida, e forte,
Già rivestiti di novella piuma,
Hanno deposto gli augelletti alquanto,
Non so s'io dica, a lieti versi, o pianto.

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Stridendo in ciel e gru veggonsi a lunge
L'aere stampar di varie, e belle forme;
E l'ultima col collo steso aggiunge
Ov' è quella dinanzi alle vane orme ;
E poichè negli aprichi lochi giunge,
Vigile un guarda, e l'altra schiera dorme ;
Cuoprono i prati, e van leggier pe' laghi
Mille spetie d'uccei, dipinti, e vaghi.

L'Aquila spesso col volato lento

Minaccia tutti, e sopra il stagno vola,
Levonsi insieme, e caccionla col vento`
Delle penne stridenti, e se pur
sola
Una fuor resta del pennuto armento,
L'uccel di Giove subito la invola:
Resta ingannata misera, se crede
Andarne a Giove come Ganimede.

Zefiro

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