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El primo assalto fu sanza romore,
Ognuno attende a menar la mascella;
Ma poi, passato un po' il primo furore,
Chi d'una cosa, chi d' altra favella;
Ciascuno al suo sparvier dava l'honore,
Cercando d' una scusa pronta, e bella;
E chi molto non sa con lo sparviere,
Si sforza hor qui col ragionare, e bere.

Ogni cosa guastava la quistione

Del FOGLA Con GUGLIELMO, onde si leva
Su DIONIGI con buona intentione,

E in questo modo a GUGLIELMO diceva:

Vuoci tu tor tanta consolatione?

E benchè il caso stran pur ti pareva,

Fa che tu sia com son io discreto,

Che averai il mio sparviere, e statti cheto.

Queste parole, e questo dolce stile,

Perchè GUGLIELMO l'ama, assai li piace;
E perchè gli era pur di cor gentile,
Deliberò col FOGLA far la pace;
Onde li disse con parole humile,
Star più teco non voglio in contumace,
E voglio in pace tutto sofferire;

Fatto

questo ciascun vanne a dormire.

E quel che si sognassi per la notte,
Quello sarebbe bello a poter dire ;
Ch' io so, ch' ognun rimetterà le dotte,
Insino a terza vorranno dormire;
Poi ce n' andremo insieme a quelle grotte,
E qualche lasca farem fuora uscire.
E così passo, compar, lieto il tempo,
Con mille rime in zucchero, et a tempo.

ELEGIA.

ELEGIA.

VINTO dalli amorosi empj martırj,

Più volte ho già la mano a scriver porta,
Come il cor viva in pianti, et in sospiri,
Donna, per farti del mio stato accorta;
Ma poi, temendo non l' harressi a sdegno,
Ho dal primo pensier la man distorta.
Così mentre che dentro il foco al legno

E stato acceso, hora il disío m' ha spinto,
Hor m' ha paura ritenuto al segno :
Ma più celar non puossi; et già depinto

Porto el mio mal nella pallida faccia,

Come chi da mal lungo è stanco, e vinto.

El cor dentro avvampa hor, di fuor tutto aghiaccia ;
Onde convien, che a maggior forza io ceda---

Speme, soverchio amor, mia fedeltate
Questo laccio amoroso hanno al cor stretto,

Et furato lor dolce libertate.

Ben veggio il perso ben, ma perch' io aspetto

Trovar, donna gentile, in te merzede
Fa, che di ben seguirti ho gran diletto;

Ꮋ .

Che

Che s' egli è ver quel ch' altri dice, o crede,
Che persa è beltà in donna sanza amore;
Te ingiuriar non vorrei, e la mia fede:
Perchè non cerco alcun tuo disonore,

Ma sol la grazia tua, e che ti piacci,
Che 'l mio albergo sia dentro al tuo core.
Mostron pur que' belli occhi, e' non ti spiacci
El mio servire; e così amor mi guida
Ognor più dentro ne' tenaci lacci;
Nè resterà giammai finchè me occida,
Donna, se tua pietà non mi soccorre,
Che morte hor mi minaccia, et hor mi sfida :
Ahi, folle mio pensier, che sì alto porre
Vuolse l'effetto; ma se a te m' inchina,
Madonna, il cielo, hor me li posso opporre?
Così mi truovo in ardente fucina

D'amore, et ardo, e son d' arder contento,
Nè cierco al mio mal grave medicina,

Se non quando mancar li spirti sento ;

Alhor ritorno al veder li occhi belli;

Così in parte s' acqueta el mio tormento.
Talchè se pur talvolta veder quelli

Potessi, o in braccio haverti, o pure alquanto
Tener le man ne' crispi tua capelli,
Mancherian i sospir, l'angoscia, el pianto,
Et quel dolore in che la mente è involta,
E in cambio a quel saría dolcezza, e canto.
Ma tu dalli amorosi lacci sciolta,

Crudel, non curi di mie pene alhora,
Anzi gli occhi mi ascondi, altrove volta.
Li occhi tuo belli, lasso, ove dimora

Il pharetrato Amor ver me protervo,
Ove suo dardi arruota, ove gl' indora.

Et

Et così il mio dolor non disacervo,

Ma resto quasi un corpo semivivo,

Con più grave tormento, et più acervo.
Ma fa quel vuoi di me per fin ch' i' vivo,
Io t'amerò, poichè al ciel così piace;
Così ti giuro, et di mia man ti scrivo.
Nè gesti, o sguardi, o parola fallace
D'altra non creder dal tuo amor mi svella,
Ch' al sine i spero in te pur trovar pace.
Solo a te pensa l'alma, et sol favella
Di te la lingua, e il cor te sol vorrebbe,
Nè altra donna agli occhi mia
par
Tanto amor, tanta fe certo dovrebbe
Haver mossa a piatà una Sirena,
Et liquefatto un cor di pietra harebbe.
Nata non se di Tigre, o di Leena,
Nè preso il latte nella selva Ircana,

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bella.

O dove il ghiaccio el veloce Istro affrena. Onde se quella speme non è vana,

Che mi dan gli occhi tua, li occhi che ferno La piaga nel mio cor, ch' ancor non sana, Non vorrai, Amor, di me più scherno.

Così ti prego

Tua piatà faccia il nostro amor eterno.

Venga, se dee venir, tuo aiuto quando

Giovar mi possa, et non tardi tra via,
Che nuoce spesso a chi ben vive amando.
Ma, lasso, hor quel mi duole è, ch' io vorría,
Il volto, ei gesti, e il pianto ch' el cor preme,
Accompagnassin questi versi mia;

Ma s' egli avvien, che soletti ambo insieme,
Posso il braccio tenerti al colla avvolto,
Vedrai come d'amore alto arde, e geme.

Vedrai

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E se la lingua pavida, e tremante.
Non ti potrà del cor lo affetto aprire,
Come intervien sovente al fido amante,
Dagli baldanza
dire,

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*

Quando gran fiamma in gentil cor accenda

Lo amor, la speme del fedel servire,

Chi sia che tanta cortesia riprenda?

Anzi, perchè mal puossi amor celare,
Che altri dal volto, o gesti nol comprenda,
Sovente io mi odo drieto susurrare,

Quanto è dal primier suo esser mutato.
Questo meschin, per cridel donna amare.
Non rispondo, anzi vergognoso guato
A terra, come chi talvolta intende
Quel, che a ciascun credea esser celato.
La tua impietà te stessa, et me riprende,
Che non bene tua bellezza accompagna,
Et al mio bon servir mal.cambio rende.
Ne perciò mai il cor di te si lagna,

Nè si dorrà sino allo extremo punto,
Ma ben vorrebbe, e perciò il volto bagna.
Teco l'avessi il ciel, donna, congiunto ;
In matrimonio: ah, che pria non venisti
Al mondo, o io non son più tardo giunto?
Che gli occhi, co' quai pria tu il core apristi,
Ben mille volte harei baciato il giorno,
Scacciando i van sospiri, e i pensier tristi.
Ma questo van pensiero a che soggiorno?
Se tu pur dianzi, et io fui un tempo avanti
Dal laccio coniugal legato intorno,

Qual

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