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Ecco GUGLIELMO a té una ne viene,
Cava il cappello, et alzerai la mano ;
Non istar più GUGLIELMO, ecco a te, bene
GUGLIELMO getta, e grida, ahi villano !
Segue la starna, e drieto ben le tiene
Quello sparviere, e in tempo momentano
Dette in aria forse cento braccia;

Poi cadde in terra, e già la pela, e straccià.

Garri a quel can, GUGLIELMO grida forte,
Che corre per cavargnene di piè;
E perchè le pertiche erono corte,
Un sasso prese, et a Guerrina diè;
Poi corre giù, sanz' aspettar più scorte,
E quando presso allo sparvier più è,
Non lo veggendo, cheto usava stare,
Per udir se lo sente sonaglare.

E così stando gli venne veduto;

Presto; grida, a caval, la prima è presa;
Lieto a lui vanne destro, et avveduto;
Come colui, che l'arte ha bene intesa ;
Preseli il geto, e per quel l' ha tenuto ; ·
Dalli il capo, e 'l cervello, e non li pesa;
Sgermillo, el' unghia e' l becco gli havea netto;
Poi rimisse il cappello, e torna a getto...

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GIOVAN

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In vero egli era un certo sparverugio,
Che somigliava un gheppio, tanto è poco,
Non credo preso havesse un calderugio ;
Se non faceva, tosto, o in breve loco,
Non havere speranza nello indugio:
Quando e non piglia, e' si levava a gioco,
E la cagione che quell tratto e non prese,
Fu, che non vi avea il capo, e non vi attese.

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Intanto venne uno starnone all' erta,

Viddelo il FOGLA, e fece un gentil getto ;)
Lo sparvier vola per la piaggia aperta,
E presegnene innanzi al dirimpetto;

Corre giù il FOGLA, e pargnene haver certa,
Però che lo sparvier molto è perfetto;

Preselo al netto, ove non era stecco,

E in terra insanguinolli i piedi, e'l becco.

E questo fe che lo sparviere è soro,
Et intanto ULIVIER forte gridava ;
Chiama giù il cappellaio, chiama costoro,
Guardate una n'è quì, così parlava,
Tu lega i can, però che basta loro
La Rocca, che di sottera le cava ;
Vien giù GUGLIELMO, non ti star al rezzo,
E tu, e'l FOGLA la mettete in mezzo.

Così

Così fu fatto, e come sono in punto,
Il canattier dicea, sotto Rocca;

Qui cadde, ve', e se tu 'l harai giunto,
Siesi tuo, corri quì, tè, ponli bocca ;
Poi dice, havete voi guardato a punto?
Et in quel lo starnon del fondo scocca ;
Ecco a te FOGLA: e'l FOGLA grida, e getta,
E'l simil fe GUGLIELMO molto in fretta.

Lasciò la starna andare lo sparviere,

Et attende a fugir quel, che gli ha drieto;

Disse GUGLIELMO, tu l'hai, FOGLA AMIERI;

Corri tu, che vi se presso, ULIVIERÌ,
Diceva il FOGLA, e GUGLIELMO sta cheto;

Corse ULIVIERI, e come a loro è sceso,
Vidde, che l'uno sparviere ha l' altro preso.

Quel del FOGLA havea preso per la gorga
Quel di GUGLIELMO, e crede, che 'l suo sia;
Perchè a GUGLIELMO tal parole porga :
La tua è stata pur gran villania,
Non credo a starne lo sparviere scorga,
Ma a sparvieri; egli è troppa pazzia,
A impacciarsi uccellando con fanciulli;
Questi non son buon giochi, o buon trastulli

GUGLIELMO queto sta, e gran fatica
Durà a tener l'allegrezza coperta ;
Pur con humil parole par che dica;
Io non lo viddi, e questa è cosa certa,

E questo più, e più volte riplica;

Intanto il FOGLA havea già sceso l' erta,

E come allo sparviere è prossimano,

દે

Quel di GUGLIELMO è guasto, il suo è sano.

E

r

E getta presto il suo loghero in terra,
Lo sparviere non men presto rispose,
E come a vincitor in quella guerra,
Vezzi li fa, et assai piacevol cose;
Vede intanto GUGLIELMO, che lui erra,
E guasto è il suo sparviere, onde rispose
Al FOGLA; tu se pur tu il villano,
Et alzò presto per darli la mano.

Ma come il FOGLA s'accorse dell' atto,
Scostossi un poco, acciochè non li dessi ;
Disse GUGLIELMO al FOGLA, tu se matto,
Se

ne credi andar netto; e s'io credessi

Non far vendetta di quel, che m' hai fatto,

Credo m' impiccherei, e s'io havessi

Meco MICHEL DI GIORGIO, o'l RANNUCINO,
Attenderesti ad altro, cervellino.

El FOGLA innanzi alla furia si leva,

E stassi cheto, et ha pur patienza,

E altro viso, e parole non haveva,

Che quel, ch' aspettando in favor la sentenza,
E poi subitamente la perdeva ;

Disse GUGLIELMO; voglio haver prudenza,
Terrolla a mente insino all' hore extreme,
E rivedremci qualche volta insieme.

Già il Sole, in verso mezzo giorno cala,

E vien ombre stremando, che raccorcia ;

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Quando il mio DIONIGI tutto rosso,
Sudando, come fassi un uovo fresco ;
Disse, star più con voi certo non posso,

Deh vientene almen tu GIOVAN FRANCESCO;
Ma venitene tutti per ir grosso ;
Troppo sarebbe fiero barbaresco,

Chi volessi hor, quando la terra è accesa,
Aspettar più per pascersi di presa:

E detto questo, diè volta al cavallo,

Senza aspettar GIOVAN FRANCESCO ancora;
Ciascun si mette presto a seguitallo,
Che'l sole tutti consuma, e divora;
El cappellaio vien drieto, e seguitallo
I bracchi, ansando con la lingua fora;
Quanto più vanno, il caldo più raddoppia;
Pare appicciato il foco in ogni stoppia.

Tornonsi a casa chi tristo, e chi lieto,

E chi ha pieno il carnaiuol di starne ;
Alcun si sta senza, et è tristo e cheto,
E bisogna procacci d' altra carne ;
GUGLIELMO viene dispettoso adrieto,
Nè può di tanta guerra pace farne ;
GIOVAN FRANCESCO già non se ne cura;
Che uccella per piacere, e per natura.

E giunti a casa, riponeva il cuoio,
Ei can governa, e mette nella stalla
Il canattier; poi all' infrescatoio
Rinovasi co' bicchieri a galla;
Quivi si fa un altro uccellatoio,

ognun

Quivi le starne alcun non lascia, o falla;
Pare trebbiano il vin, sendo cercone,
Si fa la voglia le vivande buone.

El

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